Il caso ha voluto che anche l’anno scorso il Messina giocasse, il 30 aprile, l’ultimo atto della propria stagione fra le mura amiche. In un afoso pomeriggio, l’avversario di turno era la Casertana. I biancoscudati, abbondantemente salvi e reduci da un torneo relativamente tranquillo (con tutte le conseguenze che una simile frase rapportata alla nostra storia può comportare), nel quale ad un certo punto ci avevano, addirittura, illuso di poter ottenere qualcosa in più di una semplice permanenza, avevano come unico obiettivo quello di congedarsi dal proprio pubblico con un risultato positivo. Una gara senza stimoli di sorta mi aveva indotto, pur con una certa dose di rimpianti, a dare forfait, accettando il contestuale invito ad una laurea. Sebbene il fischio d’inizio fosse previsto a pomeriggio inoltrato, il pranzo si sarebbe protratto per le lunghe e conciliarlo alla partita avrebbe costituito impresa difficile. La speranza, tuttavia, è l’ultima a morire così un taglio della torta perfettamente in linea con la mia tabella di marcia, diventava il classico colpo di pistola, utile a dare il via ad una personalissima corsa e, allo stesso tempo, mi salvaguardava dalla possibilità di apparire eccessivamente maleducato. Camicia e giacca, specie sotto trenta gradi, non rappresentavano l’abbigliamento ideale per lo stadio, ma poco importava, in perfetto orario, ci sarei stato anche io, con buona pace degli amici già pronti a puntare il dito per un’imperdonabile assenza.
Ogni tifoso, degno di tal nome, ha il curriculum zeppo di simili esempi e per tale ragione non faticherà eccessivamente a comprendere le mie motivazioni, quando, qualche giorno fa, di fronte alla proposta di una gita fuori porta, per il ponte del primo maggio, subordinai la conferma, alla possibilità di abbinare la vacanza, al campo. Messina – Cosenza vale troppo, se non tutto. La salvezza è, ancora troppo lontana ed ognuno, nel suo ruolo, ha l’obbligo morale di contribuire a centrarla. Ci siamo sgolati, imprecando o esultando. Abbiamo maledetto il giorno in cui decidemmo di legare i nostri destini a quello dei giallorossi, salvo poi benedirlo un minuto dopo, nell’istante in cui, un gol alla Reggina, sotto la neve, ci regalava l’effimera convinzione di sentirci il Real Madrid. Come in un film passano in rassegna i fotogrammi di un campionato, l’ennesimo, vissuto al fianco della biancoscudata tra poche gioie ed innumerevoli dolori e, in qualche modo, giunto al capolinea. Vincere per sopravvivere, perdere e sprofondare negli inferi. Non ci sono prove d’appello, nessuna grazia da invocare, niente giudici a cui chiedere clemenza: bisogna solamente fare tre punti.
La tensione, logorante, si scioglie alla rete di Capua. E’ il 2-0. Poco prima Milinkovic l’aveva sbloccata, facendoci tirare un sospiro di sollievo, ossigeno puro, nonostante ciò, non sufficiente a farci abbassare la guardia. Abbiamo la pelle segnata da troppe cicatrici per poterci permettere il lusso del relax. Un cross sbagliato, con il primo tempo agli sgoccioli, proietta nuovamente i silani dentro il match e ci riporta a confrontarci con fantasmi alla cui presenza abbiamo fatto il callo. Si riparte: un occhio è sul campo, l’altro concentrato sul telefonino. Le applicazioni, aggiornate in tempo reale, hanno sostituito la radio. Meno romantiche ma, sicuramente, più immediate. Da Agrigento e Matera, le news sono piuttosto confortanti ed i matematici, già a lavoro, calcolatrice alla mano, ci dicono che se tutto dovesse rimanere immutato, al novantesimo potremmo anche, aritmeticamente, brindare all’ambito traguardo.
Quando Maccarone scaraventa in tribuna l’ennesimo pallone della sua giornata, l’arbitro fischia tre volte. E’ fatta, o forse no. Voci continue e pareri contrastanti si inseguono, le scene di giubilo dei calciatori, sul terreno di gioco, aumentano dubbi e perplessità. La verità si saprà soltanto qualche ora più tardi mentre io, già sul treno, sono intento a lottare con una batteria semi scarica per non perdere il minimo aggiornamento. La sentenza è chiara: un punto a Vibo e poi anche la più strana delle classifiche avulse o la peggiore delle penalizzazioni dovrà mettersi da parte.
Un’ultima settimana di passione a riempire menti e pensieri di beghe comuni, ad occupare il cervello per evitare di impazzire. Insomma, a fare finta che nella vita ci possa essere spazio pure per altro. Non sarà semplice ma ci siamo abituati, in fondo: “Noi non supereremo mai questa fase”.
Autore: MNP Redazione / Twitter: @menelpallone
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