Dopo aver analizzato la mitologica figura di Umberto Mannocci, uno degli autori principali della prima promozione in serie A, è doveroso continuare il filone dei grandi allenatori peloritani con l’elogio a Bortolo Mutti, eroe della clamorosa reconquista della massima serie al termine della stagione 2003/04. La reggenza del coach bergamasco, naturalmente, è estremamente più vicina a quella di Umbertone, ed è ovvio che il ricordo dell’epopea muttiana provocherà qualche luccicone ai tifosi più giovani.
I punti di contatto tra le due figure non sono poi tantissime, se evitiamo di citare l’amore per la piazza e la conduzione risoluta del gruppo. Bortolo Mutti, infatti, verrà ricordato sempre per la sua compostezza, per il suo inconfondibile stile da gentleman e la sua pacata fermezza. L’ambiente messinese si legò a lui affidandosi completamente, quasi fosse un padre benevolo giunto a togliere il figlio dalla cattiva strada.
Come fu per Mannocci, anche il trainer trescoritano vanta un discreto curriculum da calciatore: mezzala dai piedi buoni, Mutti crebbe nel settore giovanile dell’Inter, indossando poi le maglie di Massese, Pescara, Catania, Brescia, Taranto, Atalanta e Mantova, chiudendo la carriera a Palazzolo sull’Oglio alla fine degli anni ’80. Chi lo ha conosciuto nello spogliatoio, ha spesso detto che già in campo, quel serafico ma talentuoso centrocampista, aveva insito l’istinto dell’allenatore. Bortolo Mutti, infatti, iniziò immediatamente la carriera di tecnico guidando il Palazzolo, ricoprendo il doppio ruolo di calciatore ed allenatore. Un paio di stagioni più tardi raccolse il primo successo personale, guidando i biancoazzurri alla promozione in serie C/1. Da quel momento partirà una splendida carriera con poche ombre e molte luci, che lo porterà ad allenare in diverse piazze, principalmente meridionali. Il tecnico bergamasco, infatti, dopo un’altra promozione in terza serie con il Leffe, sederà sulle panchine di società blasonate come Verona, Cosenza, Piacenza, Napoli, Atalanta, Palermo e Reggina, prima di incrociare il proprio destino con quello del Messina.
All’inizio della stagione 2003/04, infatti, la compagine di Pietro Franza si ritrova, dopo otto giornate, all’ultimo posto in classifica. Alla squadra mancano identità e voglia, mentre la guida tecnica pare inadatta ad un ruolo così delicato. Vincenzo Patania, infatti, viene esonerato dopo il cocente 3-0 subito a Livorno. Dopo una brevissima riunione tecnica il Football Club Messina decide di ingaggiare Bortolo Mutti, rimasto libero dopo la brutta esperienza vissuta a Reggio Calabria. Da quel momento la compagine giallorossa cambia pelle, mentalità ed…attributi, totalizzando 23 punti in 10 partire, frutto di 7 vittorie, 2 pareggi ed una sola sconfitta. In meno di due mesi, il Messina di Mutti si insedia in zona promozione, raccogliendo scalpi eccellenti ed offrendo un gioco assolutamente esaltante.
Il resto è storia assolutamente nota a qualsiasi tifoso peloritano che abbia almeno 16 anni: il Messina conquista il paradiso e, incredibilmente, si riaffaccia in serie A dopo ben 39 lunghissimi anni di assenza. La città dello Stretto si lega indissolubilmente ai suoi ragazzi ed a quel condottiero, dalla classe innata e dal portamento fiero, eternati nella memoria di qualsiasi tifoso. Di contro, Mutti si innamora del popolo peloritano, professandosi dipendente dalla granita messinese e dal panorama di una città splendidamente affascinante. In una sua intervista, rilasciata subito dopo la promozione, dirà: “Il panorama dello Stretto nel punto più vicino alla sponda calabrese è qualcosa di magico… riesce ad affascinarmi ogni volta in maniera diversa”.
L’anno successivo, il quarto in massima serie per l’allenatore lombardo, rappresenta il fiore all’occhiello della sua carriera. Con un Messina scintillante, infatti, Mutti conquista il settimo posto in classifica, raccogliendo le teste di grandi squadre come Roma, Milan, Inter e Lazio, oltre a conquistare entrambi i derby dello Stretto con la Reggina. Mutti diviene un messinese a tutti gli effetti, la città lo ama e lui vive questa passione con estremo orgoglio, senza mostrare un briciolo di insofferenza nei confronti di un abbraccio che potrebbe apparire soffocante.
La stagione successiva, però, si rivela estremamente difficile e sofferta. I giallorossi, dopo un’estate di battaglie legali per scongiurare l’esclusione dal campionato in seguito a cavilli burocratici, vivacchiano nelle parti basse della classifica, portando il Presidente Pietro Franza a prendere la decisione più sofferta. Il 26 marzo del 2006, infatti, il patron peloritano esonera Bortolo Mutti, tentando di salvare invano la compagine giallorossa. Una ferita lacerante per l’allenatore di Trescore Balneario e per la città calcistica, che si erano legati in un binomio che sembrava indissolubile.
Dopo quel triste epilogo, nessuna delle due parti sarà più la stessa: il Messina affronterà un calvario lunghissimo, dal quale sta uscendo solo in questi ultimi mesi. Bortolo Mutti, a parte una splendida salvezza in serie B con il Modena, non riuscirà ad eguagliare nessuna delle meravigliose imprese pennellate sullo Stretto, nonostante la militanza in società blasonate come Atalanta, Bari e Palermo. Adesso, sulla panchina del Livorno, quell’uomo dalla signorilità spiccata che lo rende quasi estraneo al mondo del calcio, guarda le gesta del suo figlioccio Arturo Di Napoli, seduto sulla panchina di una squadra che rappresenta il suo capolavoro, in attesa, perché no, di rincontrarsi su un campo da gioco dopo tanti anni e numerosi, splendidi, ricordi.
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @redattore
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